Le Monde 13.09.2009
Se volete cogliere appieno la situazione italiana, dovete immaginare un uomo politico francese che sia allo stesso tempo proprietario di TF1, di France 2 e di M6, in grado di nominare i suoi fedeli alla testa di Radio France e il resto del servizio pubblico. A tutto ciò bisognerebbe aggiungere alcune quisquilie come Hachette, Le Point, Le Figaro, e una fortuna personale valutata da Forbes a 6, 5 miliardi di dollari. Impensabile? A Parigi, forse, ma non a Roma.
I lettori mi scuseranno se chiedo loro ancora uno sforzo d’immaginazione: bisogna accettare l’idea che un miliardario come quello che ho appena descritto sia eletto presidente della Repubblica e che, dal palazzo dell’Eliseo, lanci una raffica d’azioni giudiziarie contro i giornali d’opposizione, faccia sparire dalle televisioni ogni voce critica (anche quella dei comici) e, per sovrappiù, scateni una campagna di calunnie contro il direttore del quotidiano dei vescovi allo scopo di farlo dimettere.
Se tutto ciò può somigliare ad uno scenario un po’ mediocre, che sarebbe rifiutato da qualunque produttore cinematografico perché apparirebbe poco credibile, è perché la realtà italiana sfida ogni immaginazione: non erano ancora passate 48 ore dalla comparsa dell’articolo del direttore di "La Repubblica", Ezio Mauro, su queste colonne (Le Monde del 3 settembre) che il signor Berlusconi conseguiva un nuovo successo nella sua guerra personale contro la stampa libera.
Il 3 settembre, Dino Boffo, direttore di "Avvenire", il giornale della conferenza episcopale italiana, presentava le dimissioni dopo un attacco di "Il Giornale", testata appartenente alla famiglia Berlusconi. Questo attacco è stato qualificato come “disgustante” dal cardinale Bagnasco. Ahimè, il grido d’allarme del signor Mauro – “L’uomo più ricco e più potente d’Italia ha deciso di scatenare l’offensiva finale contro i giornali che criticano l’esercizio del suo potere” – appare oggi perfettamente giustificato.
Con tutta evidenza, il regime del signor Berlusconi scivola verso una forma di democrazia “alla Poutine”, dove avviene che le elezioni siano organizzate regolarmente, ma il risultato si affossato in anticipo attraverso i soldi e il rigido controllo dei media. Che i due soli leaders mondiali che il signor Berlusconi conta fra i suoi amici personali, dopo la fine del mandato di Bush, siano Poutine e Khadafi non è affatto casuale.
Egli prova una simpatia istintiva per i leaders che non si curano delle “formalità” e non tollerano “ rallentamenti” nelle loro decisioni. Il primo ministro (già presidente) russo e la sua famiglia sono regolarmente invitati delle numerose ville del Presidente del consiglio italiano.
Il lato buffo del signor Berlusconi negli incontri internazionali nasconde una realtà che non ha nulla di divertente: dai suoi esordi in politica, nel 1994 ha operato per consolidare il suo potere sull’insieme della stampa, sull’editoria e sulla televisione. Si dimentica troppo facilmente che nel 1991 il signor Berlusconi era diventato proprietario della più grande casa editrice italiana, la Mondatori, corrompendo un giudice attraverso il suo avvocato, il signor Previti, condannato per corruzione in questa causa (sentenza confermata dalla corte di cassazione nel 2007).
Il Signor Berlusconi ha esordito in politica come proprietario della totalità delle reti nazionali televisive private, posizione che in Francia non avrebbe mai potuto conseguire. Le sue tre reti non si limitano a proporre dei varietà, delle promozioni commerciali e vecchi film americani. Vanno ben oltre: i giornali di Canale cinque, Italia uno e Rete 4 sono le punte avanzate della propaganda del suo partito, Forza Italia, ora ribattezzata Popolo della libertà. I quotidiani "Il Giornale", "Il Foglio", "Libero", come il settimanale "Panorama", attaccano senza tregua, non solo i leaders dell’opposizione, ma ogni voce critica: gli intellettuali, la Chiesa, la Commissione europea.
Dopo ogni vittoria elettorale, ha obbligato la Rai, emittente pubblica, a cambiare i direttori di rete e dei giornali televisivi che sono ormai ai suoi piedi. Solo Raitre e il suo giornale hanno potuto, fino ad ora, conservare una sensibilità “di sinistra” ma sono egualmente entrati, nel mese d’agosto, nelle sue mire.
I suoi avvocati, che ha fatto eleggere al Parlamento e talvolta nominati ministri, duellano in tutti i tribunali d’Italia da 15 anni: prima, per proteggerlo dalle conseguenze giudiziarie delle sue azioni; ora, per ridurre al silenzio ogni oppositore.
Hanno dunque querelato L’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924, e La Repubblica, il giornale indipendente di centro sinistra che, dal 14 maggio, si pone quotidianamente 10 domande concernenti i comportamenti che hanno attirato l’attenzione della stampa internazionale (non capita ogni giorno che un Presidente del consiglio in carica venga registrato nella sua casa da una escort nel momento in cui le dice: “Aspettami nel lettone di Poutine”).
La mancanza di ogni solidarietà verso "L’ Unità" e "La Repubblica" da parte degli altri grandi giornali italiani dimostra che la strategia funziona: il resto della stampa tratta la cosa con grande circospezione.
Si ipotizza che il signor Berlusconi abbia l’intenzione di chiamare sul banco degli imputati la stampa straniera che ha riferito le sue stravaganze. Il primo obiettivo è il settimanale francese Le Nouvel Observateur, seguito da El Pais in Spagna, e da numerosi quotidiani inglesi.
C’è un’abbondante dose di megalomania in tutto ciò: appare difficile vedere un giudice francese o inglese condannare dei giornalisti per aver posto dalle domande ad un uomo politico. E a Parigi, lo si sappia, il crimine di lesa maestà è stato soppresso nel 1832. Ma il lato folcloristico del personaggio e le buffonerie di cui si rende responsabile ad ogni incontro internazionale nascondono una nefasta influenza sul potere.
Gli attacchi contro la stampa non hanno a dire il vero lo scopo di ottenere il risarcimento danni di cui si parla degli atti giudiziari: la strategia allo scopo di intimidire gli altri giornali indipendenti attraverso la minaccia di battaglie giudiziarie che rischiano di durare anni e anni, così come avvenne all’epoca del confronto tra William Westmoreland e CBS a proposito della guerra del Vietnam. La cosa iniziò con un documentario alla televisione nel 1982 ed ebbe fine soltanto nel 2001 con la desistenza del generale: i processi civili l’Italia procedono con la stessa velocità.
E ancora, in primavera, il signor Berlusconi ha chiesto agli imprenditori italiani riuniti in congresso di non fornire più pubblicità alle pagine di "La Repubblica", con il pretesto che il quotidiano osa criticarlo. Anche qui, disgraziatamente, è la prima volta che in Occidente un uomo politico tenta di manipolare il mercato per strangolare un giornale che non gli è gradito. Certamente, non siamo ancora al sistema Poutine utilizzato per sbarazzarsi dei reportages fastidiosi…
Thomas Jefferson, l’autore della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, amava dire che “ogni uomo due patrie: la sua e la Francia”. È dunque tempo di aprire un dibattito sulla stampa francese, per rispondere ad una domanda molto semplice: l’Europa di Jean Monnet, di Robert Schiumane, di Altiero Spinelli può tollerare che la democrazia agonizzi in uno dei paesi che l’hanno creata, l’Italia?
Se volete cogliere appieno la situazione italiana, dovete immaginare un uomo politico francese che sia allo stesso tempo proprietario di TF1, di France 2 e di M6, in grado di nominare i suoi fedeli alla testa di Radio France e il resto del servizio pubblico. A tutto ciò bisognerebbe aggiungere alcune quisquilie come Hachette, Le Point, Le Figaro, e una fortuna personale valutata da Forbes a 6, 5 miliardi di dollari. Impensabile? A Parigi, forse, ma non a Roma.
I lettori mi scuseranno se chiedo loro ancora uno sforzo d’immaginazione: bisogna accettare l’idea che un miliardario come quello che ho appena descritto sia eletto presidente della Repubblica e che, dal palazzo dell’Eliseo, lanci una raffica d’azioni giudiziarie contro i giornali d’opposizione, faccia sparire dalle televisioni ogni voce critica (anche quella dei comici) e, per sovrappiù, scateni una campagna di calunnie contro il direttore del quotidiano dei vescovi allo scopo di farlo dimettere.
Se tutto ciò può somigliare ad uno scenario un po’ mediocre, che sarebbe rifiutato da qualunque produttore cinematografico perché apparirebbe poco credibile, è perché la realtà italiana sfida ogni immaginazione: non erano ancora passate 48 ore dalla comparsa dell’articolo del direttore di "La Repubblica", Ezio Mauro, su queste colonne (Le Monde del 3 settembre) che il signor Berlusconi conseguiva un nuovo successo nella sua guerra personale contro la stampa libera.
Il 3 settembre, Dino Boffo, direttore di "Avvenire", il giornale della conferenza episcopale italiana, presentava le dimissioni dopo un attacco di "Il Giornale", testata appartenente alla famiglia Berlusconi. Questo attacco è stato qualificato come “disgustante” dal cardinale Bagnasco. Ahimè, il grido d’allarme del signor Mauro – “L’uomo più ricco e più potente d’Italia ha deciso di scatenare l’offensiva finale contro i giornali che criticano l’esercizio del suo potere” – appare oggi perfettamente giustificato.
Con tutta evidenza, il regime del signor Berlusconi scivola verso una forma di democrazia “alla Poutine”, dove avviene che le elezioni siano organizzate regolarmente, ma il risultato si affossato in anticipo attraverso i soldi e il rigido controllo dei media. Che i due soli leaders mondiali che il signor Berlusconi conta fra i suoi amici personali, dopo la fine del mandato di Bush, siano Poutine e Khadafi non è affatto casuale.
Egli prova una simpatia istintiva per i leaders che non si curano delle “formalità” e non tollerano “ rallentamenti” nelle loro decisioni. Il primo ministro (già presidente) russo e la sua famiglia sono regolarmente invitati delle numerose ville del Presidente del consiglio italiano.
Il lato buffo del signor Berlusconi negli incontri internazionali nasconde una realtà che non ha nulla di divertente: dai suoi esordi in politica, nel 1994 ha operato per consolidare il suo potere sull’insieme della stampa, sull’editoria e sulla televisione. Si dimentica troppo facilmente che nel 1991 il signor Berlusconi era diventato proprietario della più grande casa editrice italiana, la Mondatori, corrompendo un giudice attraverso il suo avvocato, il signor Previti, condannato per corruzione in questa causa (sentenza confermata dalla corte di cassazione nel 2007).
Il Signor Berlusconi ha esordito in politica come proprietario della totalità delle reti nazionali televisive private, posizione che in Francia non avrebbe mai potuto conseguire. Le sue tre reti non si limitano a proporre dei varietà, delle promozioni commerciali e vecchi film americani. Vanno ben oltre: i giornali di Canale cinque, Italia uno e Rete 4 sono le punte avanzate della propaganda del suo partito, Forza Italia, ora ribattezzata Popolo della libertà. I quotidiani "Il Giornale", "Il Foglio", "Libero", come il settimanale "Panorama", attaccano senza tregua, non solo i leaders dell’opposizione, ma ogni voce critica: gli intellettuali, la Chiesa, la Commissione europea.
Dopo ogni vittoria elettorale, ha obbligato la Rai, emittente pubblica, a cambiare i direttori di rete e dei giornali televisivi che sono ormai ai suoi piedi. Solo Raitre e il suo giornale hanno potuto, fino ad ora, conservare una sensibilità “di sinistra” ma sono egualmente entrati, nel mese d’agosto, nelle sue mire.
I suoi avvocati, che ha fatto eleggere al Parlamento e talvolta nominati ministri, duellano in tutti i tribunali d’Italia da 15 anni: prima, per proteggerlo dalle conseguenze giudiziarie delle sue azioni; ora, per ridurre al silenzio ogni oppositore.
Hanno dunque querelato L’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924, e La Repubblica, il giornale indipendente di centro sinistra che, dal 14 maggio, si pone quotidianamente 10 domande concernenti i comportamenti che hanno attirato l’attenzione della stampa internazionale (non capita ogni giorno che un Presidente del consiglio in carica venga registrato nella sua casa da una escort nel momento in cui le dice: “Aspettami nel lettone di Poutine”).
La mancanza di ogni solidarietà verso "L’ Unità" e "La Repubblica" da parte degli altri grandi giornali italiani dimostra che la strategia funziona: il resto della stampa tratta la cosa con grande circospezione.
Si ipotizza che il signor Berlusconi abbia l’intenzione di chiamare sul banco degli imputati la stampa straniera che ha riferito le sue stravaganze. Il primo obiettivo è il settimanale francese Le Nouvel Observateur, seguito da El Pais in Spagna, e da numerosi quotidiani inglesi.
C’è un’abbondante dose di megalomania in tutto ciò: appare difficile vedere un giudice francese o inglese condannare dei giornalisti per aver posto dalle domande ad un uomo politico. E a Parigi, lo si sappia, il crimine di lesa maestà è stato soppresso nel 1832. Ma il lato folcloristico del personaggio e le buffonerie di cui si rende responsabile ad ogni incontro internazionale nascondono una nefasta influenza sul potere.
Gli attacchi contro la stampa non hanno a dire il vero lo scopo di ottenere il risarcimento danni di cui si parla degli atti giudiziari: la strategia allo scopo di intimidire gli altri giornali indipendenti attraverso la minaccia di battaglie giudiziarie che rischiano di durare anni e anni, così come avvenne all’epoca del confronto tra William Westmoreland e CBS a proposito della guerra del Vietnam. La cosa iniziò con un documentario alla televisione nel 1982 ed ebbe fine soltanto nel 2001 con la desistenza del generale: i processi civili l’Italia procedono con la stessa velocità.
E ancora, in primavera, il signor Berlusconi ha chiesto agli imprenditori italiani riuniti in congresso di non fornire più pubblicità alle pagine di "La Repubblica", con il pretesto che il quotidiano osa criticarlo. Anche qui, disgraziatamente, è la prima volta che in Occidente un uomo politico tenta di manipolare il mercato per strangolare un giornale che non gli è gradito. Certamente, non siamo ancora al sistema Poutine utilizzato per sbarazzarsi dei reportages fastidiosi…
Thomas Jefferson, l’autore della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, amava dire che “ogni uomo due patrie: la sua e la Francia”. È dunque tempo di aprire un dibattito sulla stampa francese, per rispondere ad una domanda molto semplice: l’Europa di Jean Monnet, di Robert Schiumane, di Altiero Spinelli può tollerare che la democrazia agonizzi in uno dei paesi che l’hanno creata, l’Italia?
Fabrizio Tonello
professore di scienze politiche all’università di Padova, autore di Il nazionalismo americano
traduzione a cura di Rino Tiani
professore di scienze politiche all’università di Padova, autore di Il nazionalismo americano
traduzione a cura di Rino Tiani
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