Un dubbio dalla Spagna: l'Italia ha imbrogliato per entrare nell'euro?
da Rotta a SudOvestCi mancava anche questa.
Alla fine risulta che l'Italia è il peggiore dei PIGS non solo per le sue dimensioni e per la sua mediocre classe politica, ma pure perché avrebbe imbrogliato sui suoi conti, come la Grecia, per poter entrare nell'euro. Lo sostiene il quotidiano economico Cinco Días, del Grupo Prisa, lo stesso di El País, facendo riferimento a una relazione del 2001 (tranquilli, i lettori elencano nei loro commenti le falsificazioni della Spagna, per cui sorge spontanea una domanda: ma c'è qualcuno che sta nell'euro perché rispettava sin dall'inizio i benedetti parametri di Maastricht?! E chi vigilava sul rispetto delle regole, a cosa stava pensando, quando ha dato l'ok a Paesi che, evidentemente, non potevano entrare nella moneta comune? Colpevoli solo quelli che hanno imbrogliato o anche chi non he vigilato e ha permesso l'imbroglio? En fin, le domande di sempre, che dal 2008 non hanno risposta). L'articolo è anche un attacco non troppo sottile a Mario Draghi, neo-presidente della BCE.
Ecco l'articolo in italiano; in spagnolo lo leggete qui.
PS Inizieremo a votare, in tutta Europa, per partiti interessati a mettere sotto controllo i mercati e convinti che è la politica che deve dare le regole all'economia e non viceversa?!
Che la Grecia abbia falsificato i suoi conti per entrare nell'euro (e abbia continuato a farlo fino al cambio di governo del 2009) è parte della storia accettata, non solo dai mercati, ma anche dalle elites politiche europee. Che l'Italia abbia fatto una cosa simile mentre nel Tesoro romano lavorava nientemeno che Mario Draghi, attuale presidente della BCE, può sembrare una novità, ma ci sono sospetti da quasi un decennio.
E' stato nel 2000 che il professor Gustavo Piga ha pubblicato un lavoro in collaborazione con il Consiglio delle Relazioni Esterne (think tank tra i cui direttori ci sono Colin Powell, Bob Rubin o i CEO di KKR e Blackstone) e l'Associazione Internazionale dei Mercati dei Valori, sull'irresistibile tema dell'uso dei derivati del debito pubblico (titolo irresistibile).
In questo complesso lavoro, Piga sottolinea un fatto: un Paese (che Piga non cita per un accordo di confidenzialità) era riuscito a chiudere un accordo di permuta finanziaria (swap) con una banca dìinvestimenti con un tasso d'interesse negativo del 16.77%. Cioè, il Paese in questione incassava un tasso d'interesse del 16,77% per il suo stesso debito.
Il meccanismo assomiglia sospettosamente a quello utilizzato da Enron, che trasformava i suoi debiti in fonte d'ingressi. Il Paese in questione aveva emesso nel 1995 un buono denominato in yen. Siccome lo yen si era deprezzato, il Tesoro aveva un guadagno latente in questa emissione di debito (doveva restituire meno yen) quando fosse scaduto, nel 1998. Nel 1997 arrivò a un accordo con una banca di investimenti secondo il quale quest'ultima realizzava grandi pagamenti in contanti in quel momento, vincolati al deprezzamento dello yen. Ma, in cambio, nel 1998 sarebbe stato il Governo chi doveva pagare la banca d'investimenti. In altre parole, ottenne un anticipo in contanti per un beneficio atteso; anticipo che in ognni caso avrebbe dovuto restituire un anno dopo.
"Al legare il tasso di cambio dello yen a quello vigente nel 1995, il Governo ebbe la possibilità di camuffare quest'operazione come una copertura sull'eissione di buoni" spiega lo studio "una cosa che non è logica". "il Governo usò questa transazione per compiere gli obiettivi di deficit fissati dal Trattato di Maastricht.".
Il Paese non si cita ufficialmente, ma è l'Italia (tra le altre cose perché la moneta fittizia con cui Piga spiega l'operazione ha lo stesso tasso di cambio sullo yen che aveva la lira italiana). Nel 2002 uno dei direttori dello stesso Consiglio delle Relazioni Esterne fece paralleli tra l'Italia ed Enron.
E anche se l'Italia superava ampiamente il limite fissato da Maastricht per il debito pubblico, riuscì a rimanere sotto l'obiettivo del 3% del deficit. Di fatto, dal 1996 e 1997, secondo i dati di Eurostat, che permise questo tipo di trucchi, il deficit pubblico italiano passò dal 7% al 2,7%. Il modello è simile a quello utilizzato dalla Grecia con Goldman Sachs.
La banca d'investimenti presente in questo fatto è, anche se confidenziale, e anche se blog come Zero Hedge hanno puntato su Goldman Sachs, FT e il New York Times hanno assicurato che si tratta di JP Morgan. In tutti i casi, quello su cui non c'è dubbio è che in quel lontano 1997 Mario Draghi, attuale presidente del BCE, lavorava nel Tesoro italiano. Nel 2002 passò a Goldman Sachs, prima di tornare alla Banca d'Italia e, adesso, alla BCE. A proposito, ieri Goldman Sachs ha segnalato che un governo "tecnico" in Italia servirebbe per ridurre lo spread.
Ecco l'articolo in italiano; in spagnolo lo leggete qui.
PS Inizieremo a votare, in tutta Europa, per partiti interessati a mettere sotto controllo i mercati e convinti che è la politica che deve dare le regole all'economia e non viceversa?!
Che la Grecia abbia falsificato i suoi conti per entrare nell'euro (e abbia continuato a farlo fino al cambio di governo del 2009) è parte della storia accettata, non solo dai mercati, ma anche dalle elites politiche europee. Che l'Italia abbia fatto una cosa simile mentre nel Tesoro romano lavorava nientemeno che Mario Draghi, attuale presidente della BCE, può sembrare una novità, ma ci sono sospetti da quasi un decennio.
E' stato nel 2000 che il professor Gustavo Piga ha pubblicato un lavoro in collaborazione con il Consiglio delle Relazioni Esterne (think tank tra i cui direttori ci sono Colin Powell, Bob Rubin o i CEO di KKR e Blackstone) e l'Associazione Internazionale dei Mercati dei Valori, sull'irresistibile tema dell'uso dei derivati del debito pubblico (titolo irresistibile).
In questo complesso lavoro, Piga sottolinea un fatto: un Paese (che Piga non cita per un accordo di confidenzialità) era riuscito a chiudere un accordo di permuta finanziaria (swap) con una banca dìinvestimenti con un tasso d'interesse negativo del 16.77%. Cioè, il Paese in questione incassava un tasso d'interesse del 16,77% per il suo stesso debito.
Il meccanismo assomiglia sospettosamente a quello utilizzato da Enron, che trasformava i suoi debiti in fonte d'ingressi. Il Paese in questione aveva emesso nel 1995 un buono denominato in yen. Siccome lo yen si era deprezzato, il Tesoro aveva un guadagno latente in questa emissione di debito (doveva restituire meno yen) quando fosse scaduto, nel 1998. Nel 1997 arrivò a un accordo con una banca di investimenti secondo il quale quest'ultima realizzava grandi pagamenti in contanti in quel momento, vincolati al deprezzamento dello yen. Ma, in cambio, nel 1998 sarebbe stato il Governo chi doveva pagare la banca d'investimenti. In altre parole, ottenne un anticipo in contanti per un beneficio atteso; anticipo che in ognni caso avrebbe dovuto restituire un anno dopo.
"Al legare il tasso di cambio dello yen a quello vigente nel 1995, il Governo ebbe la possibilità di camuffare quest'operazione come una copertura sull'eissione di buoni" spiega lo studio "una cosa che non è logica". "il Governo usò questa transazione per compiere gli obiettivi di deficit fissati dal Trattato di Maastricht.".
Il Paese non si cita ufficialmente, ma è l'Italia (tra le altre cose perché la moneta fittizia con cui Piga spiega l'operazione ha lo stesso tasso di cambio sullo yen che aveva la lira italiana). Nel 2002 uno dei direttori dello stesso Consiglio delle Relazioni Esterne fece paralleli tra l'Italia ed Enron.
E anche se l'Italia superava ampiamente il limite fissato da Maastricht per il debito pubblico, riuscì a rimanere sotto l'obiettivo del 3% del deficit. Di fatto, dal 1996 e 1997, secondo i dati di Eurostat, che permise questo tipo di trucchi, il deficit pubblico italiano passò dal 7% al 2,7%. Il modello è simile a quello utilizzato dalla Grecia con Goldman Sachs.
La banca d'investimenti presente in questo fatto è, anche se confidenziale, e anche se blog come Zero Hedge hanno puntato su Goldman Sachs, FT e il New York Times hanno assicurato che si tratta di JP Morgan. In tutti i casi, quello su cui non c'è dubbio è che in quel lontano 1997 Mario Draghi, attuale presidente del BCE, lavorava nel Tesoro italiano. Nel 2002 passò a Goldman Sachs, prima di tornare alla Banca d'Italia e, adesso, alla BCE. A proposito, ieri Goldman Sachs ha segnalato che un governo "tecnico" in Italia servirebbe per ridurre lo spread.
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