A confrontarsi sono Trinidad Jiménez, attuale ministra della sanità , e Tomás Gómez, storico segretario generale della federazione madrilena del PSOE. Un appuntamento importantissimo per la politica spagnola.
di Federico Viotti (dal sito Italia 2013)
Sembra un lontano ricordo il giorno in cui Gómez, forte del suo primato da guinness di sindaco più votato di Spagna nelle municipali del 2003 (prese il 75% dei voti nella città di Parla, nella cintura madrilena), venne eletto segretario generale con il 91% dei consensi del congresso (altro record) e celebrato come astro nascente dallo stesso José Luis Rodríguez Zapatero. L’«uragano Gómez» ha definitivamente perso tutta la sua intensità, quando, diversi mesi fa, un sondaggio interno del partito ha evidenziato che il candidato più adatto a confrontarsi con Esperanza Aguirre, attuale Presidente della Comunità Autonoma ed esponente del Partido Popular (PP), risultava essere proprio la ministra della sanità. Nonostante la richiesta di Zapatero di fare un passo indietro, Gómez ha deciso di non ritirare la propria candidatura, per «un atto di responsabilità nei confronti dei militanti». Jiménez, dal canto suo, precisa di non essere stata spinta da nessuno a candidarsi, e che la sua scelta deriva da una riflessione profonda sulla situazione del partito socialista nella capitale. Già, perché il problema fondamentale per il PSOE è che, in tutti i sondaggi, elemento imprescindibile in questa disputa, i popolari continuano ad aver un buon margine di vantaggio – quale che sia il candidato presidente avversario.
Il partito socialista non governa la Comunità di Madrid dal 1995 e questa ferita brucia molto per due ragioni. In primo luogo, perché a condurre il PP alla vittoria, nelle due ultime tornate, è stata Esperanza Aguirre, ossia una delle figure più radicali della destra spagnola. E poi perché nel maggio 2003 fu lo stesso PSOE a condannarsi con le proprie mani all’opposizione, per via di una sospetta – e mai sufficientemente indagata – “diserzione” di due deputati socialisti, che si assentarono nella decisiva seduta d’investitura del presidente. La maggioranza PSOE-Izquierda Unida saltò per un voto, e ne fece le spese il presidente designato Rafael Simancas. Il conseguente scioglimento del parlamento regionale e l’indizione di nuove elezioni per il successivo novembre consentirono al PP di riguadagnare il controllo della Comunidad.
L’assenza dal governo della capitale della Spagna rappresenta, insomma, un vulnus molto significativo, a cui il PSOE sta cercando di porre rimedio in ogni modo, a cominciare dalla scelta di nuovi dirigenti. Il giovane Gómez giunse alla direzione del PSOE madrileno nel 2007 con la promessa di ridare unità e smalto al partito e sembrava essere riuscito nell’impresa. Ma un buon politico non può essere tale se non ha buone chances di vittoria alle elezioni – per quanto, nel 2011, sarebbe già un successo limitare il trionfo annunciato del PP, impedendogli di raggiungere la maggioranza assoluta. Ecco spiegata l’origine dell’attuale disputa tra Gómez e Jiménez. Per dirimerla sono state indette elezioni primarie, in modo tale che la scelta sia effettuata dalla base degli iscritti (come prevede lo statuto del partito). La soluzione è certamente democratica. Ma i problemi e i nodi da sciogliere non mancano.
1. Queste primarie madrilene servono per scegliere democraticamente il candidato preferito dai militanti o per cercare di legittimare il candidato indicato dal vertice? Le pressioni dall’alto sono piuttosto evidenti, com’è dimostrato dal fatto che quasi tutti gli attuali membri del governo e il candidato per l’alcaldía (la carica di sindaco) di Madrid, Jaime Lissavetzky, hanno pubblicamente dichiarato il proprio appoggio a Trinidad Jiménez – che qui tutti chiamano semplicemente «Trini». Agli iscritti della federazione socialista madrilena si prospetta questo dilemma: votare il candidato in base all’affinità politica o alle (presunte) possibilità di vittoria nella competizione elettorale del 2011. Buona parte della dirigenza del PSOE ha già espresso la propria preferenza per la seconda ipotesi, e non c’è dubbio che questa posizione miri a influenzare la decisione finale del singolo affiliato. Il richiamo al voto utile può essere un messaggio ragionevole, ma si può pensare di sottomettere il giudizio personale dei votanti al solo appeal elettorale del candidato? I dubbi crescono se si pensa che spesso assistiamo – anche nel centro-sinistra italiano – al tentativo di bandire quei candidati che appaiono, in qualche misura, più “radicali” poiché la loro (presunta) posizione politica pregiudicherebbe la possibilità di ottenere il voto degli «elettori moderati». Classico caso di pregiudizio spacciato per “verità politica”, dal momento che questa tesi è ben lungi dall’essere sostenuta in modo univoco nella letteratura politologica.
2. Le primarie mettono in scena una sana competizione o lo spettacolo di una lacerante divisione all’interno del partito? Il PSOE utilizza le primarie dal 1998, quando furono indette per scegliere il candidato alle elezioni generali del 2000. L’inaspettata vittoria di Josep Borrell, provocò una lacerante convivenza al vertice con il segretario generale Joaquin Almunia e quell’esperienza negativa ha indotto il partito a limitarne l’utilizzo solo quale extrema ratio. Esiste, dunque, una certa reticenza da parte dei vertici a fidarsi delle primarie, un certo timore nel consentire che i membri del partito possano influire sulle scelte importanti. Ma è giustificata questa paura?
Gli stessi sondaggi che hanno messo in dubbio la candidatura di Gómez dicono che gli iscritti socialisti valutano positivamente le primarie, perché le considerano un esercizio di democrazia interna. Dicono anche che dal mese di maggio, ovvero quando è iniziato il confronto tra i due candidati, la fedeltà di voto per il PSOE è aumentata di 23 punti percentuali. Per il fatto stesso che dei candidati competono, è certamente vero che la natura delle primarie “mette in scena” una divisione all’interno del partito; ma le divisioni interne esistono indipendentemente delle primarie e diventano insanabili solo quando il partito non è una struttura stabile. Si potrebbe dire, insomma, che le primarie rafforzino i partiti forti e capaci di far convivere le differenze senza traumi.
In conclusione, le primarie non sono certo una cura miracolosa, ma nemmeno l’origine di tutti i mali. Semplicemente, si tratta di uno strumento che, in quanto tale, produce dei risultati a partire dal contesto in cui si applica. E sostenerne la legittimità non significa certo dimenticare quello che viene dopo. I circa ventimila socialisti madrileni che voteranno il 3 ottobre sanno bene che la vera sfida sarà quella con Esperanza Aguirre, contro la quale il PSOE non potrà solo opporre un candidato dotato di appeal, ma avrà anche bisogno di un programma credibile per tentare di produrre el cambio nella politica della Comunità.
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