06 luglio 2011

Spagna. Buon Compleanno Ley Aido. nuova legge. meno aborti.

A un anno (5 luglio 2010 dal varo della riforma della legge sull'aborto (ley de interrupcion voluntaria del embarazoy de salud sexual y reproductiva o "Ley Aìdo"), continua la tendenza alla diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza in Spagna, secondo quanto confermano fonti del ministero della Sanità, citate da El Pais. La riforma, sulla quale il Partito Popolare ha presentato ricorso davanti alla Corte Costituzionale, prevede ora la depenalizzazione dell'aborto nelle prime 14 settimane, ampliabili a 22 in caso di grave malformazione del feto o pericolo per la salute psico-fisica della donna.
Il punto più controverso e contestato dai popolari, riguarda la possibilità per le 16 e 17enni di abortire senza il consenso dei genitori.
Meno aborti e in un numero di settimane di gestazione inferiore a quello in media registrato prima dell'entrata in vigore della legge, è la tendenza registrata dalle cliniche private convenzionate, dove vengono ancora praticate il 90% delle IVG. Una buona legge quella del 2010 ma che non è riuscita a eliminare le differenze fra regioni, competenti in materia di assistenza sanitaria, per quanto riguarda i centri pubblici dove è possibile sottoporsi a intervento di interruzione di gravidanza. 
la ex ministra dell'uguaglianza Bibiana Aido
Nel 2009 gli aborti sono diminuiti del 3,7%, secondo i dati diffusi dalle cliniche convenzionate; mentre il decremento, nel 2010, è stimato fra il 3% e il 5%. (ANSAmed). Contro il punto più controverso della legge, che consente l'aborto alle 16 e 17enni senza consenso dei genitori, si erano schierate associazioni anti-abortiste, fra le quali Derecho a vivir (Diritto a vivere), sostenendo che avrebbe favorito l'ivg fra le minori. Ma, un anno dopo l'entrata in vigore della riforma, gli aborti in tale fascia d'età rappresentano il 10-20% del totale, secondo l'Associazione di cliniche accreditate per l'Ivg (Acai), che raggruppa una trentina di centri sul territorio nazionale. Le adolescenti che decidono di abortire senza consenso dei genitori, in uguale percentuale spagnole e straniere, in genere giustificano la propria scelta con pressioni familiari o radicate credenze religiose dei propri familiari.

Il Compleanno è stato celebrato così anche da "Avvenire" con un articolo di Michela Coricelli

«L’aborto libero» divide la Spagna

Se Carmen, a 16 anni, vuole a­bortire, da un anno a questa parte può farlo anche senza l’autorizzazione dei genitori. Non vuole dirlo a casa perché la sua de­cisione potrebbe scatenare un con­flitto familiare (ipotesi piuttosto plausibile, data la gravità della si­tuazione)? Può presentarsi in clini­ca da sola ed evitare di informare mamma e papà.

La riforma dell’in­terruzione volontaria della gravi­danza voluta in fretta e furia dal go­verno di José Luis Rodriguez Zapa­tero è entrata in vigore un anno fa. A 12 mesi dalla pubblicazione nella gazzetta ufficiale, la legge – che non fu mai annunciata dai socialisti in campagna elettorale – continua ad alimentare un carosello di polemi­che, cifre, slogan, pericolose bana­lizzazioni.

«È una data triste», perché ricorda che la Spagna ha riconosciuto il «rango di diritto ad un’aberrazione», ammette deluso Angel Pintado (del Partito popolare), portavoce dell’as­sociazione dei deputati “Famiglia e Dignità Umana”. La riforma ha san­cito l’aborto completamente libero entro le prime 14 settimane, per­mette l’eliminazione del feto fino al­la 22esima in caso di malformazio­ne o di rischio per la madre, ma dei “comitati etici” ad hoc possono spo­stare più in là la data dell’aborto in situazioni straordinarie.

Fino al 5 lu­glio 2010, nel Paese iberico l’aborto era legale solo in tre casi: violenza sessuale, malformazione del feto o rischio fisico e psicologico per la donna. Nove interruzioni su dieci – denunciano i pro-life – si afferrava­no a quest’ultimo criterio, sfruttan­do la superficialità e le irregolarità di una rete di cliniche private in cui si consumano il 97 per cento degli a­borti. Un vero business da decine di milioni di euro all’anno.

Nel Paese iberico annualmente si re­gistrano circa 115mila aborti. Ad un anno dalla riforma, l’Associazione delle cliniche accreditate per l’in­terruzione della gravidanza (Acai) sostiene che gli interventi siano di­minuiti del 5 per cento. In attesa dei dati ufficiali del governo (che pro­babilmente interpreterà il calo co­me una conseguenza della legge), le stesse cliniche ammettono che la ve­ra ragione va ricercata nel crollo del­l’immigrazione: «Negli ultimi cinque anni il numero di donne spagnole fra i 15 e i 45 anni è diminuito e non sono state sostituite dalle immigra­te, che non arrivano più per colpa della crisi», ha detto la vicepresi­dente dell’Acai, Francisca García, al quotidiano Abc .

Ma attenzione – av­vertono i pro-life – nel calcolo non vengono considerati gli aborti far­macologici o quelli provocati dalla “pillola del giorno dopo”: parlare di diminuizione è falso. E le minorenni? Secondo il presi­dente dell’Acai, Santiago Barambio, le 16enni e 17enni che abortiscono rappresentano “solo” il 4-5 per cen­to del totale e di queste appena un 5-10 per cento avrebbe deciso di non comunicarlo a casa. Percentuali che fanno accapponare la pelle ai geni­tori: «Esistono basi molto ragione­voli dell’incostituzionalità della leg­ge », assicura Benigno Blanco, del “Forum della Famiglia”.

Nonostante le promesse ufficiali, ne­gli ultimi 12 mesi a livello statale non è cambiato nulla nel campo degli aiuti alla maternità. Le donne in dif­ficoltà che vogliono portare avanti la gravidanza possono contare su as­sociazioni private come “Red Ma­dre”, ma dal settore pubblico rice­vono pochissimo. Sarebbe stata una riforma «a favore delle donne», di­ceva il governo di José Luis Rodri­guez Zapatero, indifferente alle pro­teste. Oggi quella premessa appare ancora più paradossale: dopo un an­no, i casi di sindrome post-aborto sono aumentati del 380 per cento.


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