A un anno (5 luglio 2010 dal varo della riforma della legge sull'aborto (ley de interrupcion voluntaria del embarazoy de salud sexual y reproductiva o "Ley Aìdo"), continua la tendenza alla diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza in Spagna, secondo quanto confermano fonti del ministero della Sanità, citate da El Pais. La riforma, sulla quale il Partito Popolare ha presentato ricorso davanti alla Corte Costituzionale, prevede ora la depenalizzazione dell'aborto nelle prime 14 settimane, ampliabili a 22 in caso di grave malformazione del feto o pericolo per la salute psico-fisica della donna.
Il punto più controverso e contestato dai popolari, riguarda la possibilità per le 16 e 17enni di abortire senza il consenso dei genitori.
Meno aborti e in un numero di settimane di gestazione inferiore a quello in media registrato prima dell'entrata in vigore della legge, è la tendenza registrata dalle cliniche private convenzionate, dove vengono ancora praticate il 90% delle IVG. Una buona legge quella del 2010 ma che non è riuscita a eliminare le differenze fra regioni, competenti in materia di assistenza sanitaria, per quanto riguarda i centri pubblici dove è possibile sottoporsi a intervento di interruzione di gravidanza.
Il punto più controverso e contestato dai popolari, riguarda la possibilità per le 16 e 17enni di abortire senza il consenso dei genitori.
Meno aborti e in un numero di settimane di gestazione inferiore a quello in media registrato prima dell'entrata in vigore della legge, è la tendenza registrata dalle cliniche private convenzionate, dove vengono ancora praticate il 90% delle IVG. Una buona legge quella del 2010 ma che non è riuscita a eliminare le differenze fra regioni, competenti in materia di assistenza sanitaria, per quanto riguarda i centri pubblici dove è possibile sottoporsi a intervento di interruzione di gravidanza.
la ex ministra dell'uguaglianza Bibiana Aido |
Nel 2009 gli aborti sono diminuiti del 3,7%, secondo i dati diffusi dalle cliniche convenzionate; mentre il decremento, nel 2010, è stimato fra il 3% e il 5%. (ANSAmed). Contro il punto più controverso della legge, che consente l'aborto alle 16 e 17enni senza consenso dei genitori, si erano schierate associazioni anti-abortiste, fra le quali Derecho a vivir (Diritto a vivere), sostenendo che avrebbe favorito l'ivg fra le minori. Ma, un anno dopo l'entrata in vigore della riforma, gli aborti in tale fascia d'età rappresentano il 10-20% del totale, secondo l'Associazione di cliniche accreditate per l'Ivg (Acai), che raggruppa una trentina di centri sul territorio nazionale. Le adolescenti che decidono di abortire senza consenso dei genitori, in uguale percentuale spagnole e straniere, in genere giustificano la propria scelta con pressioni familiari o radicate credenze religiose dei propri familiari.
«L’aborto libero» divide la Spagna
Se Carmen, a 16 anni, vuole abortire, da un anno a questa parte può farlo anche senza l’autorizzazione dei genitori. Non vuole dirlo a casa perché la sua decisione potrebbe scatenare un conflitto familiare (ipotesi piuttosto plausibile, data la gravità della situazione)? Può presentarsi in clinica da sola ed evitare di informare mamma e papà.
La riforma dell’interruzione volontaria della gravidanza voluta in fretta e furia dal governo di José Luis Rodriguez Zapatero è entrata in vigore un anno fa. A 12 mesi dalla pubblicazione nella gazzetta ufficiale, la legge – che non fu mai annunciata dai socialisti in campagna elettorale – continua ad alimentare un carosello di polemiche, cifre, slogan, pericolose banalizzazioni.
«È una data triste», perché ricorda che la Spagna ha riconosciuto il «rango di diritto ad un’aberrazione», ammette deluso Angel Pintado (del Partito popolare), portavoce dell’associazione dei deputati “Famiglia e Dignità Umana”. La riforma ha sancito l’aborto completamente libero entro le prime 14 settimane, permette l’eliminazione del feto fino alla 22esima in caso di malformazione o di rischio per la madre, ma dei “comitati etici” ad hoc possono spostare più in là la data dell’aborto in situazioni straordinarie.
Fino al 5 luglio 2010, nel Paese iberico l’aborto era legale solo in tre casi: violenza sessuale, malformazione del feto o rischio fisico e psicologico per la donna. Nove interruzioni su dieci – denunciano i pro-life – si afferravano a quest’ultimo criterio, sfruttando la superficialità e le irregolarità di una rete di cliniche private in cui si consumano il 97 per cento degli aborti. Un vero business da decine di milioni di euro all’anno.
Nel Paese iberico annualmente si registrano circa 115mila aborti. Ad un anno dalla riforma, l’Associazione delle cliniche accreditate per l’interruzione della gravidanza (Acai) sostiene che gli interventi siano diminuiti del 5 per cento. In attesa dei dati ufficiali del governo (che probabilmente interpreterà il calo come una conseguenza della legge), le stesse cliniche ammettono che la vera ragione va ricercata nel crollo dell’immigrazione: «Negli ultimi cinque anni il numero di donne spagnole fra i 15 e i 45 anni è diminuito e non sono state sostituite dalle immigrate, che non arrivano più per colpa della crisi», ha detto la vicepresidente dell’Acai, Francisca García, al quotidiano Abc .
Ma attenzione – avvertono i pro-life – nel calcolo non vengono considerati gli aborti farmacologici o quelli provocati dalla “pillola del giorno dopo”: parlare di diminuizione è falso. E le minorenni? Secondo il presidente dell’Acai, Santiago Barambio, le 16enni e 17enni che abortiscono rappresentano “solo” il 4-5 per cento del totale e di queste appena un 5-10 per cento avrebbe deciso di non comunicarlo a casa. Percentuali che fanno accapponare la pelle ai genitori: «Esistono basi molto ragionevoli dell’incostituzionalità della legge », assicura Benigno Blanco, del “Forum della Famiglia”.
Nonostante le promesse ufficiali, negli ultimi 12 mesi a livello statale non è cambiato nulla nel campo degli aiuti alla maternità. Le donne in difficoltà che vogliono portare avanti la gravidanza possono contare su associazioni private come “Red Madre”, ma dal settore pubblico ricevono pochissimo. Sarebbe stata una riforma «a favore delle donne», diceva il governo di José Luis Rodriguez Zapatero, indifferente alle proteste. Oggi quella premessa appare ancora più paradossale: dopo un anno, i casi di sindrome post-aborto sono aumentati del 380 per cento.
La riforma dell’interruzione volontaria della gravidanza voluta in fretta e furia dal governo di José Luis Rodriguez Zapatero è entrata in vigore un anno fa. A 12 mesi dalla pubblicazione nella gazzetta ufficiale, la legge – che non fu mai annunciata dai socialisti in campagna elettorale – continua ad alimentare un carosello di polemiche, cifre, slogan, pericolose banalizzazioni.
«È una data triste», perché ricorda che la Spagna ha riconosciuto il «rango di diritto ad un’aberrazione», ammette deluso Angel Pintado (del Partito popolare), portavoce dell’associazione dei deputati “Famiglia e Dignità Umana”. La riforma ha sancito l’aborto completamente libero entro le prime 14 settimane, permette l’eliminazione del feto fino alla 22esima in caso di malformazione o di rischio per la madre, ma dei “comitati etici” ad hoc possono spostare più in là la data dell’aborto in situazioni straordinarie.
Fino al 5 luglio 2010, nel Paese iberico l’aborto era legale solo in tre casi: violenza sessuale, malformazione del feto o rischio fisico e psicologico per la donna. Nove interruzioni su dieci – denunciano i pro-life – si afferravano a quest’ultimo criterio, sfruttando la superficialità e le irregolarità di una rete di cliniche private in cui si consumano il 97 per cento degli aborti. Un vero business da decine di milioni di euro all’anno.
Nel Paese iberico annualmente si registrano circa 115mila aborti. Ad un anno dalla riforma, l’Associazione delle cliniche accreditate per l’interruzione della gravidanza (Acai) sostiene che gli interventi siano diminuiti del 5 per cento. In attesa dei dati ufficiali del governo (che probabilmente interpreterà il calo come una conseguenza della legge), le stesse cliniche ammettono che la vera ragione va ricercata nel crollo dell’immigrazione: «Negli ultimi cinque anni il numero di donne spagnole fra i 15 e i 45 anni è diminuito e non sono state sostituite dalle immigrate, che non arrivano più per colpa della crisi», ha detto la vicepresidente dell’Acai, Francisca García, al quotidiano Abc .
Ma attenzione – avvertono i pro-life – nel calcolo non vengono considerati gli aborti farmacologici o quelli provocati dalla “pillola del giorno dopo”: parlare di diminuizione è falso. E le minorenni? Secondo il presidente dell’Acai, Santiago Barambio, le 16enni e 17enni che abortiscono rappresentano “solo” il 4-5 per cento del totale e di queste appena un 5-10 per cento avrebbe deciso di non comunicarlo a casa. Percentuali che fanno accapponare la pelle ai genitori: «Esistono basi molto ragionevoli dell’incostituzionalità della legge », assicura Benigno Blanco, del “Forum della Famiglia”.
Nonostante le promesse ufficiali, negli ultimi 12 mesi a livello statale non è cambiato nulla nel campo degli aiuti alla maternità. Le donne in difficoltà che vogliono portare avanti la gravidanza possono contare su associazioni private come “Red Madre”, ma dal settore pubblico ricevono pochissimo. Sarebbe stata una riforma «a favore delle donne», diceva il governo di José Luis Rodriguez Zapatero, indifferente alle proteste. Oggi quella premessa appare ancora più paradossale: dopo un anno, i casi di sindrome post-aborto sono aumentati del 380 per cento.
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