Il primo atto dei neo-governatori leghisti del Veneto e del Piemonte è un atto di inaccettabile pre-potere e prepotenza sul corpo delle donne. Dopo il difficile iter di introduzione del nostro sistema sanitario della pillola abortiva RU 486, la volontà espressa da Zaia e Cota di bloccarne la diffusione nei loro territori riporta l’Italia indietro di più di 30 anni e mira ad azzerare nel nostro Paese le battaglie per la tutela della salute e l’autodeterminazione delle donne in materia di scelte procreative.
Ricordiamo a Cota e Zaia che le Regioni possono stabilire in autonomia tempi e modalità di somministrazione della RU 486, ma non possono bloccare l’erogazione della pillola abortiva, men che meno introdurre modalità di accesso e utilizzo più gravose, o palesemente dirette a introdurre maggiori rischi, piuttosto maggiori strumenti di tutela, per la salute delle donne. I Governatori per primi, anzi, sono chiamati a garantire che le Regioni rispettino lo spirito e i fini delle leggi nazionali e lavorino per migliorare le condizioni di salute e la libertà di scelta terapeutica di tutti i cittadini, donne e uomini, non per tentare di inibirli nel contenuto o nell’esercizio.
In una vicenda già così dolorosa, come quella dell’aborto, la pillola RU 486 ha il vantaggio di preservare al meglio la salute della donna e limitare il rischio che comporta l’intervento abortivo eseguito chirurgicamente. Il suo uso è di stretta prescrizione medica, non amministrativa. Renderne strumentalmente più difficile l’accesso serve solo a “punire” con l’imposizione di un maggiore “rischio” e “dolore” la donna che “insista” nella sua scelta di libertà - tutelata a livello nazionale dalla legge 194/78 - e decida di abortire. Sono scenari da Medioevo, vergognosi per lo spirito che riesumano, inaccettabili per il dispregio delle leggi nazionali che comportano. Uno spirito e un atteggiamento che combattiamo e rifiutiamo con tutte le nostre forze. Qualora si dovesse insistere in tale intento chiederemo l'immediato intervento della magistratura.
Se realmente l’intento è quello di favorire la maternità, si spendano, Cota, Zaia e tutti gli esponenti della destra al governo, per introdurre - anche in Italia - quel sistema di sicurezza sociale, di sostegno alla maternità, di protezione del lavoro delle donne, di accesso e diffusione capillare delle scuole per la prima infanzia, la cui assenza è la prima causa di “infertilità indotta” delle donne italiane, fragili e sole, come nessuna in Europa, nella scelta e nel peso di sostenere le responsabilità familiari e il pregiudizio personale che comporta il decidere di diventare madri. Molte meno donne, in un Paese diverso, ricorrerebbero all’unica libertà che si consente loro: la libertà di rinunciare a essere madri. Perché spesso non c’è altra scelta per chi non lavora, per chi rischia il licenziamento, o sa di non poter contare su altri aiuti che non su se stessa.
Perché semplicemente troppo spesso in Italia, per le donne, lo Stato non c’è.
In una vicenda già così dolorosa, come quella dell’aborto, la pillola RU 486 ha il vantaggio di preservare al meglio la salute della donna e limitare il rischio che comporta l’intervento abortivo eseguito chirurgicamente. Il suo uso è di stretta prescrizione medica, non amministrativa. Renderne strumentalmente più difficile l’accesso serve solo a “punire” con l’imposizione di un maggiore “rischio” e “dolore” la donna che “insista” nella sua scelta di libertà - tutelata a livello nazionale dalla legge 194/78 - e decida di abortire. Sono scenari da Medioevo, vergognosi per lo spirito che riesumano, inaccettabili per il dispregio delle leggi nazionali che comportano. Uno spirito e un atteggiamento che combattiamo e rifiutiamo con tutte le nostre forze. Qualora si dovesse insistere in tale intento chiederemo l'immediato intervento della magistratura.
Se realmente l’intento è quello di favorire la maternità, si spendano, Cota, Zaia e tutti gli esponenti della destra al governo, per introdurre - anche in Italia - quel sistema di sicurezza sociale, di sostegno alla maternità, di protezione del lavoro delle donne, di accesso e diffusione capillare delle scuole per la prima infanzia, la cui assenza è la prima causa di “infertilità indotta” delle donne italiane, fragili e sole, come nessuna in Europa, nella scelta e nel peso di sostenere le responsabilità familiari e il pregiudizio personale che comporta il decidere di diventare madri. Molte meno donne, in un Paese diverso, ricorrerebbero all’unica libertà che si consente loro: la libertà di rinunciare a essere madri. Perché spesso non c’è altra scelta per chi non lavora, per chi rischia il licenziamento, o sa di non poter contare su altri aiuti che non su se stessa.
Perché semplicemente troppo spesso in Italia, per le donne, lo Stato non c’è.
Nessun commento:
Posta un commento